Milano-Bologna, quella Prima Tappa del Giro d’Italia con il sapore epico della leggenda

di Mirco Cominini

13 MAGGIO 1909 – 13 MAGGIO 2017
ORA COME ALLORA sono sempre giri di pedali e fatica, tanti giri di pedali e tanta fatica come quella dei giovani di belle speranze che tra il XIX e XX secolo sognavano un futuro migliore a cavallo di quei mezzi di locomozione ormai d’uso comune.
Trecentomila giri di pedale, tanti sono quelli completati da chi ha avuto l’ardore ed il cimento di percorrere quel tratto di strada che va dalla piazza meneghina chiamata Loreto fino all’Ippodromo Zappoli di Bologna, passando da Bergamo e Brescia, e poi ancora Verona, Vicenza, Padova, Rovigo e Ferrara.

397 chilometri… tanti, anzi tantissimi per chi è abituato ad usare solo le biciclette moderne ed a ragionare con cardiofrequenzimetri, misuratori di watt, guarniture ellittiche, parta party e cambi elettronici; quasi normale amministrazione per chi ricercava le allora energie, oggi chiamate carboidrati e proteine, nelle cosce di pollo e nelle uova, nei minestroni o nel caffè, nell’Anesone Triduo della premiata ditta Maccabiani di Brescia o nei Rum londinesi. La Stampa Sportiva del 7 marzo 1909 parla di “prova di eccezionale importanza” in grado di “unire in una grande unica prova tutte le forze dello sport ciclistico nazionale”. Milano-Bologna, la prima tappa del primo Giro d’Italia che ancora non conosceva le tristezze delle grandi guerre ma conosceva le fatiche del vivere comune.
Il primo giorno di vita, da dove tutto ebbe inizio, ciclisticamente parlando.
Tanti gli iscritti, 165, di cui 128 regolarmente punzonati e poi partiti. Tra loro i migliori ciclisti “professionisti” italiani e stranieri e tanti dilettanti “isolati” senza squadra e senza sponsor che avevano al seguito l’unica ammiraglia possibile per l’epoca, una sacca a tracolla con viveri di fortuna e camere d’aria, mastice e chiavi multiple, pompe e filo di spago.

Ore 2.53 la partenza, prima curva e prima rovinosa caduta del Diavolo Rosso Giovanni Gerbi; ore 8.00 o poco più altra rovinosa caduta del Piccolo Bretone Lucien Mazan in terra bresciana. Questa corsa non era uno scherzo, allora e più di ora piazzarsi ai primi posti nella classifica finale voleva dire garantire a se stessi ed alla propria famiglia un futuro agiato. Il montepremi complessivo ammontava a 25.000 lire (un’enormità per l’epoca, all’incirca 600.000 euro di oggi) ed il vincitore ne guadagnò in totale 5.325 (circa 133.000 euro odierni), il secondo 2.430, il terzo 2.008.
Italia-Francia, motivo conduttore di questa prima grande avventura. Da una parte i più forti professionisti continentali che erano abituati a misurarsi in quel Tour de France che già era grande in tutti i sensi e da lì a poco avrebbe spento le 7 candeline; da questa parte delle Alpi i corridori nostrani che per spirito di sacrificio, cattiveria, furbizia e forza non peccavano di certo.
Con Gerbi e Mazan a scartamento ridotto per via delle cadute, Trousselier, già trionfatore del Tour del 1905, tentò il colpo a sorpresa anticipando la volata del gruppo di testa; nulla da fare, il giovanissimo romano Dario Beni fece suo l’arrivo con superiorità disarmante come le cronache dell’epoca narrarono.

Da quella lontana primavera tantissimo è cambiato: i confini nazionali di mezza Europa, le tecnologie, il vivere comune, la morale, il senso di appartenenza, lo spirito di sacrifico.
Per moltissimi anni l’oblio è calato sulle gesta di questi personaggi. Ora, per caso e per fortuna, gli antichi scritti e le antiche fotografie che sono state spolverate come le vecchie biciclette, usate da questi grandi personaggi, sono state in parte ritrovate perché gelosamente custodite dai lungimiranti pronipoti o perché dimenticate e poi riscoperte in qualche cantina o soffitta.

ORA COME ALLORA 13 nostalgici personaggi, con tanta preoccupazione e passione, preparazione e ardimento, sempre con tanti giri di pedali e fatica, quei primi 397 chilometri li hanno voluti portare a compimento esattamente 108 anni dopo quel 13 maggio 1909, come giusta memoria non della corsa, ma delle persone che quella corsa fecero diventare grande.
ORA COME ALLORA biciclette della medesima specie, forse anche qualcuna di allora, stessa ammiraglia in spalla, stesso unico modo di pedalata, stessa fatica, ma soprattutto, ORA COME ALLORA, stesso e tanto… “brusà de cul”, grande LUIGI GANNA!


L’alba del Giro (di Simone Lamacchi, Il Conte)

In una Milano bagnata da qualche goccia
Un manipolo di impavidi attende l’immane lotta
Uno starter d’eccezione il commendator Delfino
In mano il suo inseparabile megafono della ditta Ratto Lino
Son in tredici virgulti giovini pedalatori
L’Italia tutta li ammira per far battere i loro cuori
Luccicano le loro macchine saettanti verso la piana Padana
Nei loro occhi sogno di vittoria, la fatica non sarà vana
Passan veloci a Bergamo e Brescia nell’alba nascente
Lunga fila a ventre aperto, sol il loro respiro si sente
Un raggio di sole li scalda nella discesa verso Desenzano
Che bella gioventù velocipedistica che abbiamo
Il passo cadenzato verso la terra scaligera battuto dal Conte
Il vento alle spalle ed una goccia di sudore scende dalla loro fronte
La gente, capannelli di tifosi, bimbi chiassosi e sorridenti
Vicenza è prossima il Segalo ed il Perozzi appaiati a denti stretti
Non mollano un colpo anche nelle retrovie del manipolo oliato
Zambuten e l’Ambassador locomotive di una falange rodata
C’attende Padova la dotta, confabulano i due bresciani
Un colpo di mano s’attende, potrebbero volar lontani
In fondo al drappello l’inglese denota grinta da vendere
Stantuffa..no anzi sbuffa, il sudore ormai mangia la polvere
Transitano per una silente Rovigo capitanati da Salvioli e Nencini
D’un colpo lampi saettanti squarciano il cielo…sempre più vicini
L’Estense Ferrara è un tripudio di tifosi bagnati ma festanti
Delmonte si ripara in una locanda con una robusta bevanda calda
Ad attenderlo nel rientro il Bauscia, la loro luce non è ancora spenta
Ormai ci siamo, la gloria vittoriosa nella grassa Bologna
Volata eterna negli occhi di un ragazzo che in lontananza sorridente li sogna

Photogallery a cura di E. Romano e G. Trevisan