La Milano-Sanremo, 19 marzo 2016

di Simone Lamacchi

Alle porte della nascente primavera inizia il racconto denso di speme e di emozioni della falange ciclistica pronta ad affrontare i quasi trecento chilometri che separano la rinascente Milano dalla costiera Sanremo.

Ma veniam con ordine… il dì antecedente presso la bottega Cicli Rossignoli nella città meneghina si son tenute le verifiche delle macchine con relativa punzonatura di rito presieduta da due severissimi giudici, il savonese Delfinotti ed il cremonese Segaletti, agghindati di tutto punto nel controllo delle quasi cinquanta macchine iscritte all’ardito cimento.

Gran fermento e gran ressa di gente e tifosi ad assistere alla solenne cerimonia (i più attenti parlano di circa diecimila persone) e già circolano i nomi dei favoriti, tre su tutti, Serpellini Marco, accasato con la Cycles Villano, detto il Professionista, Cominini Mirko, isolato, detto Wall Street e il loro gaio rivale, Segalini Davide, su macchina Maino, detto Galett. Ne manca uno a die il vero, Boschi Alberto, detto il Re del fisso, dato in gran forma dagli scommettitori ma che un malefico colpo della strega ha bloccato nella sua ducale Parma.

Volti tesi, ghigni malefici, si studiano le tattiche, la magnifica e prodigiosa gioventù attende l’impeto del dì che viene.

La sera tutti gli ardimentosi attori assieme mangian, riposano e si fan massaggiare nei locali del Mumac, qui dove si ammirano le macchine da caffè più belle del mondo.

E la mezzanotte è ormai vicina, allo scoccar delle lancette del campanile della limitrofa Binasco, all’ombra del magnificente castello con la benedizione del parroco, romba il motore scoppiettante della Chevrolet che sgasa a più non posso per far strada ai cinquanta ardimentosi ciclisti sui loro cavalli d’acciaio.

Si parte con la Luna piena, gli audaci sogni di gloria aprono le danze alla ciclopica prova, la fila è lunga, illuminata dai fari a candela e carburo come tante fiaccole danzanti.

Dopo una dozzina di chilometri Lamacchi Simone, su macchina La Misteriosa, detto il Conte, ha un sussulto… una noiosa bucatura lo colpisce.

Subito accanto a se, cinque prodigiosi compagni lo aiutano nel cambio, sono Delmonte Fausto, su macchina Wonder, detto il Parmigianino, i toscani Franceschini Stefano, detto l’Artista e Lentini Fabio, detto il Buttero, il locale Lanfranchi Roberto, detto el Bauscia e Achilli Antonio su macchina Maino, detto il Duro. Dieci minuti ed il guasto è riparato, il quintetto riparte senza indugi stantuffando senza tregua per ricongiungersi ai giganti che li precedono.

Ecco le luci di Pavia ed il suo ponte di legno, il gruppo ricompattato batte la banchina senza tregua ma una nuova avversa bucatura colpisce il Conte, stavolta decide di riparar da solo per non sfinire una seconda volta i generosi compagni.

La temperatura scende, quattro gradi nella notte stellata con le prime ubertose colline che appaiono all’orizzonte sintomo che la piana padana sta declinando al termine.

A Casteggio sul primo scossone di uno zampellotto, Gandolfi Nicola, detto il Ballerino, ode una musica provenir da una vicina balera, ci si fionda, quattro passi di danza e poi in men che non si dica riconquista il caval d’acciaio per riportarsi nella falange ordinata.

A Tortona il primo ristoro volante con relativo traguardo a premi è vinto dal locale Buzzi Stefano detto la Pulce che si aggiudica tre salami e una bottiglia di corroborante vino rosso precedendo l’enfant prodige Borelli Jacopo che sente odor di casa.

Si passa da Novi, lungo la carreggiata cascinali tentatori fan breccia negli occhi dei tre novesi, Gera, Maranetto e Mangiarotti, il primo detto Cabeza Blanca, ma resiston e sfilan via curvi nelle fiacche luci della notte.

Il nostro manipolo di prodi eroi è ormai lanciato verso le prime propaggini appenniniche, a guidar le fila tre coequipiers valorosi, gli ardimentosi giganti fratelli De Ponti ed il corregionale Varesott Palazzi Claudio…che furore.

Complice un passaggio a livello maligno ed una seminagione di chiodi rimangono attardati ma non demordono nel loro corrente tumulto, il forlivese Zauli Giorgio, il toscano Nencini Marco, il milanese Borghi Mauro, il locale Mariotti Gianni e l’unico meridionale del gruppo, l’istrionico Labbadessa Mario, re del velocipede.

Il cielo sta schiarendo, Ovada è vicina, la temperatura scende sotto lo zero, ma nulla può fermare le sorti della battaglia che va ad iniziare, lui…il famigerato Turchino è pronto dopo il foglio firma.

L’attesa è attonita, il momento ora è giunto, timoroso lo sparuto drappello di quella magnifica gioventù affonda la spada tra la roccia di quella montagna, si inizia a salire. Ed eccoli Cominini, Serpellini, Delmonte, Passarotto e De Ponti che con meravigliosi scatti salgono quell’erta arcigna.

Dietro arranca il resto della truppa, ma non son vinti, i loro volti rigati resistono, si scorgono Cavazzuti Tiziano su Bianchi, l’inglese Platman Graeme su Automoto e via ancora gli altri nella verdeggiante valle che li condurrà poi in riviera una volta vinto il Turchino.

La Galleria del Turchino segna il confine dell’immane fatica, quasi metà del percorso verso la conquista della gloria. Inizia la discesa, tra le sinuose curve appar l’ombra di tutti i sopravissuti, chiudono il drappello ma pur degni di allori i gemelli Ratto Federico e Lino, tempra ligure, preceduti dai trentini Pegoretti e Avi, tra i men giovani del drappello.

La picchiata termina a Voltri, sul foglio firma spunta il sole, il calore ha la meglio. Ripartono, dopo che nel gruppo è rientrato anche Bertolucci Raffaele su Maino anche lui vittima di due bucature. Sugli zampellotti  della Colletta e dei Piani di Invrea son alcuni locali che menan le danze, Berruti Jacek, il Predestinato su macchina Alcyon e gli altri savonesi Passarotto, Battaglia e Moretto tutti su cicli transalpini.

Respiro marino poetico allo sguardo dei ciclisti che ormai sfilano curvi come ombre sfuggenti, che baldanza ancor che hanno! Nel gruppo rientrano dopo strenuo inseguimento gli emiliani genuini, Salvioli, Ternelli, Orlandi e Covezzi, che neanche la parete rocciosa accanto può scalfirne l’orgoglio.

In lontananza si scorge l’industriosa Savona, siam a due terzi del titanico risultato e nel frattempo sospinti da Eolo alle spalle sopraggiungono nell’avanguardia anche Zauli Roberto detto Zambuten, Bovone e gli altri Alessandrini, un buon nugolo di valorosi gregari mai domi.

I tre capi vengon irrisi dai giganti della strada, l’ultimo baluardo è il Berta, una staffilata nel cuore impavido, ma nessun cede, le catene son tese come lo sforzo che li pervade.

Arrancano a malapena ma non scendon di macchina lo svizzero Fieschi Angelo ed il giovine milanese Montagnolo alla prima corsa ciclistica, così come all’esordio  sono i piemontesi Firpo Diego detto Cioccolato e Baratella Fausto detto Ratafià.

Un tuffo verso Imperia, ultimo baluardo prima della fiorita Sanremo, il meriggio è tiepido, barlume di primavera, ci siamo, la folla trepida, una nuvola di polvere s’alza, la battaglia finale incombe, eccoli…eccoli… son tutti vincitori, nessun vinto, evviva il ciclismo, evviva i nostri Eroi.

Photogallery by Elisa Romano